(Nigrizia settembre 2018 - qui il pdf)

Charlie Mingus sugli altopiani

Dal Lago Tana e lungo le montagne dell'amhara fino alla chiesa dei musicisti liturgici di Betlehem Gayint

Testo e foto di Fabio Artoni

Un monaco in preghiera a Betlehem, nel basso (tach) Gayint. Questa chiesa in pietra è la scuola di liturgia musicale più importante per i religiosi della chiesa ortodossa (Tewahedo) d'Etiopia, tanto da definire uno stile musicale: lo "stile betlehem". I religiosi manderanno a memoria le melodie che accompagnano i canti liturgici per poi trascriverne una propria versione su fogli di pergamena, con speciali annotazioni per l'espressività (i crescendo, i vibrati ecc...). Stabilite le regole - ma "senza" una melodia scritta secondo il pentagramma occidentale - le userannno in forma personale, con creatività.

Il lago Tana per diversi secoli è stato il centro del potere spirituale e temporale dell’Impero etiopico e da qui nasce il Nilo Azzurro. Su una barchetta a motore siamo quasi piccoli come le tanqwas di papiro dei pescatori ma il ragazzo al timone vuole essere chiamato Captain. Sull’isoletta di Daga Estifanos sono l’ultimo visitatore fuori orario di una lunga giornata di lavoro per i monaci. Un battello speciale con più di trecento persone, da Bahar Dar, ha attraccato nel piccolo molo, ha risalito nel verde la collina che porta al monastero, e lì ha incontrato i monaci che per tutto il giorno hanno squadernato codici miniati e illuminato nel buio del mausoleo le ossa mummificate di alcuni re d’Etiopia del diciasettesimo secolo. È ora di pescare ma la giornata sociale del monaco non è finita: sul cellulare trova decine di messaggini e faccine e punti esclamativi. È piu perplesso che stanco e dice che i monaci hanno bisogno di tranquillità; che ci sono regole per questo luogo sacro ed è ipocrita aggirarle; ed è per questo motivo che nel monastero non si può più entrare. È con questa prospettiva da seccatore sulla testa che proseguo il viaggio verso la chiesa di Zur Amba e poi verso Betlehem, nel Gayint, regione Amhara. Non ci sarà bisogno di arrampicarsi su guglie quanto di scalare piccole vette di diffidenza verso stranieri e gente non del posto; piccole ritrosie per proteggere la più importante scuola di musica liturgica etiopica, Betlehem Gayint.


Dal Lago Tana si segue la China Road, una lunga strada sugli altopiani che da ovest verso est porta dalla provincia di Gondar al Wollo. Al villaggio di Nefas Mewcha (letteralmente “Uscita del vento”) si abbandona la strada dei cinesi e si segue una pista per cinquanta chilometri, tra famiglie di contadini che raccolgono grano e teff. Questa pista diventerà una strada asfaltata ed è una gran bella notizia pensando a un ottimo indicatore statistico di un report della World Bank (What Studies in Spatial Development Show in Ethiopia, Part II) che spiega cosa questo significa; l’indicatore dice che in Etiopia il tasso di povertà aumenta del sette per cento ogni dieci chilometri di distanza da un mercato collegato alla rete stradale. Quindi ancora oggi la gente attorno a Betlehem è in media per un terzo più povera di quella di Nefas Mewcha, che già a prima vista aveva un’economia di sola sussistenza. Il report dice inoltre che dal 1997 al 2015 la rete stradale dell’Etiopia è quadruplicata ma che rimane una delle più basse dell’Africa e soprattutto che tale espansione non è avvenuta in maniera omogenea: degli investimenti hanno beneficiato soprattutto Addis Abeba, il Tigray e diverse aree dell’Oromia. In amhara poco e niente. Andare oltre la sussistenza è da alcuni decenni la strategia per fare crescere l’economia della Nazione; ma il monito è che i frutti dello sviluppo si devono vedere sulle tavole di tutti gli stati federati di questa nazione peso massimo dell’Africa, pena l’aumento delle disuguaglianze.

Snow
Forest

A sinistra, un monaco pesca nell'soletta di Deg Estifanos, sul lago Tana A destra, un contadino del Gayint, poco distante dal lago Tana in linea d'aria, ma un antico vulcano a scudo che arriva a oltre quattromila metri - il monte Guna - taglia le comunicazioni e bisogna seguire la China Road fino a Nefas Mewcha (letteralmente: l'uscita del vento)


Queste disparità di trattamento tra gli stati è uno dei motivi delle rivolte popolari nelle regioni oromo e amhara dal 2015 alla primavera di quest’anno; anni vissuti pericolosamente: stati di emergenza, morti per le strade, imprigionamenti, esodi di massa per paura di vendette etniche, investimenti pubblici e privati finiti letteralmente in fumo. I giovani disoccupati delle campagne, istruiti ma senza terra e senza lavoro, e tutti quelli che vedevano la corruzione e la speculazione mangiarsi la ricchezza del paese, hanno chiesto più democrazia. Quando il baratro di uno stato dissolto e di una guerra civile sembrava prossimo, la coalizione al governo da ventisette anni ha nominato Premier, ad aprile, il Dottor Abiy Amhed. Quarantenne, uomo del partito, figlio di oromo musulmani ma con nonni di religione ortodossa, il nuovo Premier per alleggerire il peso delle aspettative ha detto: “Io sono figlio di normali contadini, non un dio”. Eppure i primi atti sono sovranaturali: svuota le carceri, apre le porte all’opposizione interna e a quella della diaspora, denuncia torture, annuncia liberalizzazioni economiche, offre una mano all’Eritrea per costruire un Corno d’Africa di pace e lasciare alle spalle una guerra fratricida che si combattè prima con le armi e poi per molti anni con sospetti e facce feroci. E poi usa la parola “ethiopiawinet”, etipiocità, forse superare una costituzione che è retta sul principio del federalismo etnico: che a seconda dei punti di vista è stato un modo per dividere e quindi imperare meglio; oppure un compromesso per coniugare l’autonomia di lingua e tradizione di varie etnie in un’unica nazione. Ci sono adesivi di Abiy Amhed sui pulmini dei tassisti di Addis Abeba e il supporto popolare sarà l’arma per affrontare la ricerca di nuovi equilibri e lotte di potere all’interno della coalizione dove i tigrini ex rivoluzionari del Tplf sono ancora molto forti: ci sono scontri etnici nel Sud; manifestazioni al Nord contro la cessione di Badme agli eritrei; un’economia che ha bisogno di valuta per sostenere lo sviluppo; e quasi un milione di profughi che arrivano dal Sud Sudan, dall’Eritrea e dalla Somalia.

La chiesa di Betlehem Gayint vista dall'esterno sembra una chiesa circolare. Lo stratagemma sorprese anche Thomas Pakenham, che negli anni Cinquanta organizzò una spedizione per visitare questa zona (ancora oggi) per nulla conosciuta dagli stranieri. In realtà sotto la struttura circolare c'è una chiesa a pianta rettangolare, in pietra, in stile axumita


E poi c’è la questione della terra, da gestire con prudenza, perché si sa che le sirene neoliberiste, una volta presa una mano, non si accontentano neppure del braccio; e in Etiopia otto persone su dieci di terra vivono. Fino a qualche decennio fa, dopo il taglio del cordone ombelicale si dava al neonato un appezzamento di terreno, il suo futuro, altroché codice fiscale. Questo pezzetto di futuro è a rischio perché la terra non basta per tutti ma forse la città, il lavoro salariato, l’emigrazione non sono le sole alternative. In un bar di Awra Amba assisto a una visione pubblica di un programma televisivo, educational. Decine di uomini con il lungo bastone (il dulla) in una mano, i sandali di plastica, una coperta sul dorso, ascoltano le parole di altri uomini che hanno sperimentato una tecnica per seminare il teff in filari invece che a spaglio e ora mostrano i raccolti. Meno trascinante della Premier League ma più realistico di un talk show, questo deve significare servizio pubblico. Regalo qualche polaroid, mi ringraziano con abbracci; le mani callose le riconosco, i solchi sui visi pure, ma realizzo che le loro spalle hanno più a che fare con i mobili che con muscoli e nervi. Sarà il lavoro di zappa ma anche lo stress del piove sì o piove no, della tanica che perde acqua, del cuscinetto a sfere del carretto grippato, degli uccelli che si mangiano i germogli. Una vita all’erta, di imprevisti, di lacci delle scarpe aggrovigliati quando si è di fretta. La rilassatezza muscolare è, definitivamente, un privilegio da ricchi.
Snow
Forest

A sinistra, la struttura in pietra di Betlehem Gayint, con le "teste di scimmia" evidenti. A destra l'abuna - il religioso più alto in carico - della chiesa. L'altare è, a suo dire, pre-cristiano, del periodo axumita.


La Chiesa di Betlehem è ai margini di una collina. L’inglese Thomas Pakenham fu il primo occidentale a scoprirla nel 1955 e il racconto è nel libro The Mountain of Rasselas: Pakenham arrivò con i muli salendo e scendendo i 4000 metri di altezza del Monte Guna, ma ancora oggi per quella via occorrerebbero diversi giorni di cammino; trovò una chiesa simile a quella di centinaia di altre sull'altopiano, con il solito muro circolare coperto da un tetto in paglia; solo entrandovi scoprì che quello era un trucco e che dentro quel cerchio stava una chiesa di pietra, a pianta rettangolare, indubbiamente medioevale; e che quelle travi sporgenti nella muratura di porte e finestre (sono chiamate teste di scimmia) erano chiari segni di stile architettonico axumita. Ora il tetto della chiesa è in lamiera, e in più ci sono soldi per un restauro. L’Abuna che mi accoglie dice che in realtà fu un soldato italiano della colonizzazione fascista a scoprire quella Chiesa, ma che no, non rubò nulla.
Snow
Forest

A sinistra un azmari, un cantastorie, con il suo masinko, un violino moncorda che accompagna le poesie. A destra un contadino del Gayint. Durante la stagione del raccolto le famiglie uniscono le forze. Il musicista e il contadino mi inviteranno a pranzo, dandomi il posto migliore. E parafrasando Giorgio Manganelli, "mi sono sentito degradato al ruolo di persona importante"

Su Betlehem e la sua architettura c’è il lavoro di Georg Gerster (Churches in Rock. Early christian art in Ethiopia, 1970) ma c’è qualcosa di più palpitante di cui parlare. In questo posto ci sono aspiranti religiosi che per anni imparano a memoria testi e melodie di un libro sacro di inni e antifone (Deggwa) che un santo chiamato Yared pare compose in un’estasi creativa di un solo giorno. Il contrabbassista jazz Charlie Mingus costringeva i suoi musicisti ad ascoltare e a ripetere a memoria un pezzo perché: “Se ve lo scrivo poi lo suonate diversamente e invece se lo mandate a memoria lo suonerete come deve essere suonato”. Si può immaginare distanza maggiore tra le atmosfere delle jam dei musicisti di Mingus in qualche club d’America e i canti degli studenti della Chiesa Ortodossa d’Etiopia in uno sperduto monastero sugli altopiani? Eppure è quello che avviene: il Maestro (Marigeta) legge e canta e gli studenti ripetono. Per l’esame gli studenti copieranno a mano, su pergamena, una loro versione del Deggwa, appuntando su ogni rigo del testo i segni che aiutano nell’interpretazione (staccato, glissando, crescendo, diminuendo, fortepiano ecc…) e una o due o fino a tre lettere dell’alfabeto geez (che sta all’amarico odierno come il latino sta all’italiano, più o meno). Queste combinazioni di lettere sono chiamate meleket, e sono estratte dal testo letterario stesso dell’antifona; in lettura ogni singolo meleket è al tempo stesso un codice grafico, un codice letterario e un codice che richiama alla memoria una melodia; in un sistema dove testo letterario e memoria musicale si compenetrano. Il sistema di notazione di Yared, così diverso dall’efficienza del pentagramma, fa pensare più alla parola opportunità che ad arcaicità e comunque che quello occidentale non è certo l’unico dei mondi e neppure dei mood possibili. Con questa memoria musicale e letteraria, il musicista liturgico costruisce nuove frasi melodiche per nuovi inni e preghiere, seguendo una vera e propria “tecnica” improvvisativa. ll più completo studio sulla musica liturgica etiopica è quello di Kay Kaufman Shelemay, 1994; testo che questa Alan Lomax degli altopiani scrisse analizzando registrazioni nello “stile Betlehem”.

Paesaggio del Tach (basso) Gayint

La contemporaneità non mi abbandona quando mi invitano a pranzo in una capanna, nel posto migliore; un posto dove, parafrasando Giorgio Manganelli, mi sento un poco degradato al ruolo di persona importante. Sotto il portico della Chiesa ci sono sedie di legno e uomini e donne coccolati dalla frescura, come in un pergolato toscano, in un patio sudamericano. Attesa della messa quotidiana mentre si parla dei raccolti, si riempiono taniche d’acqua; un posto accogliente come in una grande cucina dove si pelano insieme i fagiolini. Chissà che, a proposito di diritti umani, dopo la condanna morale dei matrimoni precoci del Patriarca Abuna Mathias, sotto quel portico si prendano decisioni quotidiane più efficaci delle campagne di comunicazione. La strada per costruire una democrazia in Etiopia è ancora lunga; in fondo bisogna ricordare che fino al 1974 l’Etiopia era ancora governata da un Imperatore, Haile Selassie, per volere divino; e quello era lo stesso anno in cui l’Olanda dei capelloni di Cruijff stupiva il mondo con il suo calcio totale. La rivoluzione del Dottor Abiy, Primo Ministro, non è detto che filerà tranquilla come un pranzo di gala, ma intanto è la prima rivoluzione che invoca con forza la pace per costruire la democrazia.